Complesso Rupestre San Giorgio Matera

SECONDA ZONA

audio e descrizione in italiano 

 

In questo punto, volgendo lo sguardo verso l’ingresso, è possibile vedere come alla parte scavata si addossa, prolungandola verso l’esterno, la parte costruita dell’ipogeo di San Giorgio, con una caratteristica architettura con la volta a botte che prende il nome di lamione. Il lamione è infatti una struttura ad ambiente unico illuminata da una sola apertura che, riproducendo la morfologia dell’abitazione ipogea, trasporta nella forma di una costruzione furi terra la grotta originaria, matrice di ogni tipo abitativo.  

Il corpo centrale è la parte più antica di questo complesso che venne scavato, probabilmente intorno all’anno Mille, per ospitare la Chiesa Rupestre di San Giorgio, purtroppo oggi poco riconoscibile a causa delle notevoli modifiche subite dal sito in conseguenza dei suoi diversi riusi. Sul piano di calpestio, a destra ed a sinistra, si notano le vestigia di un setto roccioso su cui poggiava un muro divisorio abbattuto in tempi recenti, probabilmente coincidente con l’iconostasi della originaria Chiesa di San Giorgio.

Poco oltre, sempre rivolgendosi verso l’ingresso, un’incisione circolare di circa 3 metri di diametro e profonda 80 cm,. Era l’alloggiamento della base del trappeto, ovvero della macina del frantoio oleario. L’ampia incisione dopo che il frantoio cadde in disuso venne riempita di terra per cui, al momento dell’ultimo e recente restauro, appariva omogenea rispetto al piano di calpestio. La presenza di un solco d’erosione tutto intorno all’incisione, presumibilmente scavato dal quotidiano calpestio del mulo che trainava la leva di rotazione della macina, ha indotto ad eseguire dei saggi e a riportare alla luce l’alloggiamento del frantoio. Sono visibili, poco più in alto rispetto all’incisione circolare, le cavità di incastro della struttura portante lignea dell’antico trappeto.    

Sulla sinistra dell’incisione si notano due fori circolari le cui pareti sono ricoperte a coccio pesto. Si tratta probabilmente di due dolii per il contenimento dell’olio. Dei due, quello più vicino a chi osserva, venne successivamente trasformato in cisterna e dotato di canale di adduzione. Sulla parete a destra, in corrispondenza della nicchia, si vede chiaramente la conduttura che nel suo tratto iniziale si sviluppa nella parete verticale, per poi procedere sul pavimento, mediante una gronda realizzata in conci di tufo modellati.

Girandosi verso la parete di fondo, sempre oltre l’incisione per la macina, sulla destra si nota un’altra cisterna priva però di canali di adduzione delle acque, forse utilizzata come serbatoio per l’olio. Il piccolo boccaglio mostra i segni della risega per il coperchio metallico. Sulla parete destra, prima del boccaglio, c’era in passato una vasca intonacata, possibile silos per lo stoccaggio delle olive.

Volgendosi nuovamente verso l’ingresso, oltre i due dolii e sulla parete sinistra si vedono i resti del coccio pesto che rivestiva due vasche per la pigiatura dell’uva, riconducibili al periodo in cui la grotta venne convertita in cantina, ovvero presumibilmente tra la metà del Seicento e gli inizi del Settecento. Le due vasche ricavate in un unico blocco di pietra, cadute in disuso quando l’attività produttiva di vino cessò, vennero smembrate e ridotte in conci di tufo da riutilizzare all’occorrenza.