Complesso Rupestre di San Giorgio al Paradiso

Siamo chiusi dal 12 al 23 Novembre

dal 24 novembre:
Sabato 11:00-18:00
Domenica 10:00 – 14:00

dal lunedì al venerdì visite su prenotazione: 0835 – 334583

Tariffe e modalità di visita

Tour del complesso rupestre con guida (durata circa 30 minuti)

Biglietto intero (minimo 3 pax): € 6,00 a persona 

Biglietto ridotto (gruppi con guida, residenti della città di Matera e ospiti dell’hotel San Giorgio): € 3,50 a persona 

Biglietto ridotto (ragazzi dai 7 ai 12 anni ): € 2,50 

Ingresso gratuito: Visitatori di età pari o inferiore ai 6 anni, portatori di handicap, guide autorizzate 

Le Agenzie e le Guide Turistiche possono contattare la Reception al numero 0835/334583 per richiedere  l’apertura dell’ipogeo anche al di fuori delle fasce orarie indicate. Per le guide si richiede di indicare telefonicamente il numero di partecipanti e l’intestazione da porre sul documento fiscale (scontrino fiscale o fattura). Il documento fiscale verrà consegnato alla guida all’ingresso dell’ipogeo unitamente ai ticket. Le fattura saranno inviate a mezzo mail.

La Chiesa Rupestre di San Giorgio

Il frantoio, la cantina, il percorso sotterraneo tra le cisterne

La chiesa medievale di San Giorgio, annessa tra le proprietà del monastero della Santissima Annunziata di Matera e profanata nel primo ventennio del XVII sec.  ha subito notevoli modifiche che l’hanno resa poco riconoscibile, pertanto si ritiene utile una descrizione più dettagliata della struttura.

Dopo la profanazione, la chiesa fu utilizzata in modi differenti, più recentemente come frantoio oleario. Il trappeto ha la tipica morfologia degli ipogei a galleria propria dei manu­fatti rupestri deputati alla lavorazione e allo stoccaggio delle olive, delle uve e dei loro derivati.

Entrando, a sinistra, si scorge una cisterna col collo del boccaglio lungo circa 1,80 m costruito in conci di tufo.

A circa 6 m dall’ingresso si trova un’altra cisterna a cam­pana col fondo assai concavo allo scopo di consentire facilmente lo scivolamento e la raccolta, verso il centro, dei detriti trasportati dall’acqua.

L’invaso è alimentato da un ampio canale di adduzione rivestito di tegole che presenta i segni evidenti di adattamento del suo percorso alle modificazioni di livello della corte esterna al frantoio: in un momento più antico partiva da un livello posto quasi un metro sotto l’attuale piano della corte, poi fu spostato verso la parete sinistra dove, nella fase più recente, doveva trovarsi lo sbocco delle grondaie del tetto.

Questa cisterna è fornita di doppio boccaglio : uno fruibile dal frantoio , l’altro, più arretrato verso l’interno del muro, è in relazione con un condotto che consentiva il prelievo dell’acqua dal piano superiore e dalla costruzione vicina .

A meno di 2 m da questa cisterna, sempre a destra, nel mu ro, si scorge l’uscita di un cosiddetto “camino” dal quale si potevano riversare le olive da macinare nel frantoio direttamente dalla scala che discende dall’Arco di Sant’Antonio.

A poca distanza da questo condotto si nota la nicchietta triangolare per l’alloggiamento di una lucerna. Ancora sul lato destro, a circa 1,5 m dalla precedente struttura, è ubicata una ‘focagna’ ossia un focolare, un tempo munito di cappa in gesso e canne, poggiante su trave lignea e con il foro di scarico dei fumi chiuso da una voltina in conci di tufo.

Poco oltre la parte costruita del frantoio, caratterizzata da un bel mensolone in corrispondenza dell’imposta della volta sul lato destro, cede il passo all’ ipogeo.

A circa 3 m di distanza si scorge, sulla destra, l’imboccatura di un dolio per il contenimento dell’olio. Segue, al centro del pavimento, un’incisione circolare di circa 3 m di diametro e profonda circa 80 cm che costituisce l’alloggiamento della base del trappeto, cioè della macina da frantoio oleario.

Questa incisione è circondata da un eccentrico solco d’erosione scavato dal quotidiano calpestio del mulo che trainava la leva di rotazione della macina. Più oltre e in alto rispetto all’incisione circolare, sono evidenti le cavità d ‘incastro del­la struttura lignea portante di un più antico trappeto.

A destra, quasi tangente con l’ampio foro circolare, è col­locata la bocca di un altro dolio trasformato in cisterna e fornito di canale di adduzione.

Infatti, sulla parete sinistra, in corrispondenza di una nicchia, scavata per rendere agevole il collegamento tra il canale e il punto di approvvigionamento esterno, è presente la conduttura che, nel suo tracco iniziale, si sviluppa sulla parete verticale per poi procedere sul pavimento mediante una gronda realizzata in conci di tufo modellati.

Oltre l’incisione per la macina, sulla destra, si vede un’altra cisterna priva di canale di approvvigionamento probabilmente utilizzata come serbatoio per l’olio. Questa struttura mostra nel suo piccolo boccaglio la risega per il coperchio metallico.

Fra i due dolii, sulla parete destra , si vedono i resti di intonaco a coccio pesto che rivestiva due vasche per la pigiatura  dell’uva,  riconducibili  al periodo  in cui la grotta fu riconvertita in cantina (1717).

Un’altra vasca intonacata, desumibile dai residui di coccio pesto, si trovava poco più avanti,  oltre il dolio trasformato in cisterna: è quanto rimane di  un silos per lo stoccaggio delle olive. Subito dopo l’incavo circolare della  base  del  frantoio, a sinistra e a destra,  si osservano le vestigia di un setto roccioso su cui poggiava muro divisorio abbattuto di recente, probabilmente coincidente  con l’ iconostasi dell’originaria chiesa di San Giorgio. A  sinistra, sul pavimento, in corrispondenza del primo dolio  descritto, si osserva un’ampia e profonda cavità sulla cui base è incisa una piccola mangiatoia: si tratta  della porzione residua di una delle stalle di pertinenza dell’ipogeo contiguo oggi separata dal frantoio per mezzo di un muro.

Nello spazio che in origine doveva costituire il santuario dell’antica chiesa sì scorge, sulla  sinistra,  uno spanciamento,  coevo con la realizzazione della cantina settecentesca, finalizzato al collocamento delle botti sull’apposito muro di sostegno.

La parete di fondo, in corrispondenza della antica lunetta absidale, mostra l’imbocco della gradinata che scende al “sotterro”.

Nove ampi gradini, resi concavi per facilitare lo scivolamento delle botti, immettono in una sala caratterizzata da temperatura bassa e costante. Lungo le pareti della scalinata, a sinistra e a destra, sono scavate due nicchie per lucerna: la prima, quella di sinistra, è sormontata da una piccola croce votiva, scarsamente visibile, incisa sulla parete annerita dal fumo. Sull’architrave di accesso di quest’ultima sala, in cosrrispondenza del fondo delle scale e verso l’esterno, è incisa la data 1717, coincidente con l’anno di escavazione dell’ambiente di trasformazione in cantina dell’intero complesso.

La data è posta su un graffito che riproduce, in  maniera stilizzata,  un calice con l’ostia, emblema della Confraternita del Santissimo Sacramento, proprietaria del bene fino al 20 gennaio 1708.

Nell’ultimo vano, il Iato sinistro è connotato dal classico muro di sospensione delle botti, mentre il destro mostra i segni tipici dell’estrazione lapidea,  presenti anche su metà del pavimento.

Sulla parete di fondo si apre la solita nicchia destinata all’alloggiamento dei recipienti  utilizzati per il travaso del vino. Osservando le pareti  con luce radente; si scorgono incise diverse linee parallele; si tratta di tacche di conteggio realizzate per  ”registrare quantità numeriche”   in una società in cui pochi erano gli uomini in grado di leggere e   scrivere. Il sistema era già in uso presso i romani che solevano incidere appositi testimoni di legno noti come  “festucum notatum’.